Non siamo in ritardo, siamo esattamente dove dovremmo essere

12 febbraio 2021

Posso dire di aver riscoperto i viaggi nel 2019, a 26 anni. Forse un po’ tardi per “cominciare” a viaggiare, per fare tutte quelle esperienze che solitamente si fanno prima di trovare un lavoro fisso. Prima di voler andare a convivere con il fidanzato o la fidanzata. Prima di, insomma, diventare adulti. Prima di compiere quel passo che sembra essere marcato con pennarello indelebile sulla strada della nostra vita.

La verità è che forse io l’ho riscoperta tardi, la vita. Mi sono accasciata sullo stop per chissà quanto tempo, o forse non avevo mai premuto sullo start. Sicuramente per molto tempo mi sono sentita come un apparecchio non sintonizzato o sintonizzato, sì, ma sulla frequenza sbagliata.

Ho sempre avuto un’ansia di vivere, prima e più degli altri, e una paura uguale e contraria che mi ha sempre impedito di farlo.

Volevo viaggiare e ho cominciato giovanissima, ad appena 16 anni mi apprestavo ad andare a vivere per 2 mesi dall’altra parte del mondo solo per ritrovarmi sommersa dalla paura, dall’ansia, dalla solitudine.

Volevo innamorarmi, ma il timore di parlare, muovermi, lasciarmi avvicinare da un essere umano in maniera così intima e totalizzante mi annientava.

Volevo uscire, divertirmi, ubriacarmi, ballare, fare tutte quelle cose che si fanno da giovani, che dobbiamo fare da giovani o saranno perdute, saranno perdute per sempre, sarà troppo tardi e saremo sommersi dal rimorso e dalla mancanza di ricordi. E le ho fatte in parte, in quei brevi intervalli in cui la mia mente non boicottava la mia corsa alla vita.

A volte, per dire la verità, ho l’impressione che il mio orologio interiore vada a una velocità diversa rispetto a quello delle persone in tutto il resto del mondo. Come se andasse a rilento, quasi che la forza gravitazionale all’interno del mio corpo, del mio cuore, della mia testa, facesse forza alle lancette, dicesse loro di rallentare. Il tempo per me passa, ma io resto ferma. Un incantesimo o una maledizione.

Da qui la mia ossessione per il tempo, per il ritardo, la mia ansia un coniglio impazzito che corre per cercare di “fare tutto quello che dovrei fare a quest’età”. 

Ma poi la razionalità, la parte sana del mio cervello raggiunge quel coniglio impazzito, lo scuote, gli fa perdere le rotelle e gli urla “Tardi per chi?”.

Tardi per chi? Chi è in ritardo davvero nella propria vita? Ritardo rispetto a cosa? Alla terra che gira, ai giorni che finiscono, al sole che muore all’orizzonte?

Tardi perché? Perché dovrei sentirmi in ritardo se tutto nel mio corpo mi urla a gran voce di vivere, vivi maledizione, finalmente, perdutamente. Fai quello per cui sei destinata a vivere e a morire e a soffrire. Soffri con tutto il cuore e i muscoli e le ossa e la pelle e tutte le cellule che sono state e che saranno. Soffri per quello che ami. Soffri tantissimo e ama tantissimo e uccidi la voce dell’ansia e della depressione e della paura immobilizzante che ti dicono che non puoi che è tardi che non avrai occasioni che ti devi accontentare che non c’è più tempo.

Quello che ho capito è che il tempo è relativo. Il mio tempo è mio e di nessun altro. Le mie esperienze, i miei dolori, le vittorie, le sconfitte, le delusioni, le ho ottenute con le unghie e con i denti, con sangue, lacrime e tempo, tanto, forse troppo tempo. Il mio tempo.

C’è solo una cosa per cui saremo sempre in ritardo, ed è capire che non lo siamo.


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Elisabetta Marini

SMM and Content Creator, part-time mermaid, hopeless writer
Lover of whales, anatomical hearts and Sylvia Plath
Based in Italy

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