Viaggiare con l’ansia mi ha cambiato la vita
5 giugno 2022
Non so esattamente quando è stato, quando ho cominciato a capire che avrei potuto farcela da sola, che la mia dipendenza altrui era solo una reliquia dell’infanzia, una cicatrice invisibile che mi era stata data in eredità senza intenzione.
Ho sempre guardato agli altri per costruire la mia personalità, per capire quale fosse la strada giusta da prendere. La mia vita era basata sull’osservare le persone che mi circondavano, imitarne i comportamenti, imparare a vivere a loro immagine e somiglianza. Il processo attraverso cui i bambini imparano a mangiare, camminare, parlare.
Eppure succede che, ad un certo punto, l’imitazione infantile lascia il posto all’autodeterminazione, alla scelta individuale, alla personalità che si fa strada attraverso ininterrotti “IO”, gridati fino a squarciare il cordone ombelicale che ci lega a chi ci ha messo al mondo.
Non so esattamente quando è stato, quando ho cominciato a capire che io ero solo un’ombra proiettata dalle infinite persone a cui mi approcciavo. Continuavo a non sentirmi pronta, a voler imparare di più, a sentire il bisogno di essere più preparata alla vita. Qualcosa di impossibile.
Avevo bisogno che qualcuno mi tenesse la mano in ogni momento, che mi guidasse, che mi facesse esistere.
Eppure, col tempo, ho visto le persone, quelle stesse persone a cui mi affidavo per convalidare la mia esistenza, perdere la strada, sbagliare a leggere le indicazioni, arrabbiarsi di fronte al mio silenzio, al mio seguire senza prendere mai posizione.
Ho visto le persone che dovevano darmi un senso, sfaldarsi di fronte ai miei occhi, la loro autorità un pugno di mosche, il loro sguardo perso, come il mio.
Allora ho capito che forse il mio non prendere posizione, la mia paura delle conseguenze, delle mie azioni, il mio seguire ciecamente la guida altrui per paura di sbagliare erano un’emerita stronzata. Capire che le persone sbagliano e che c’è perdono, riscatto, che perdere non è la fine, che spogliarsi delle aspettative, del bisogno di approvazione, del successo, di una vita costruita da altri e che non si adatta alla forma del nostro desiderio, è solo l’inizio.
Di cosa avevo paura durante i miei viaggi? Di ritrovarmi sola, senza soldi, amici, futuro? Quando mi trovavo in un paese straniero, di cui conoscevo solo la posizione sulla mappa e della lingua alcune frasi imparate a memoria sui libri di scuola, cosa temevo? Di perdermi per strada? Di gridare aiuto e che nessuno accorresse in mio soccorso? Di ritrovarmi ferita e senza soldi? Di non riuscire a farmi capire da un tassista o un infermiere?
Perché poi tutte queste cose mi sono capitate e non sono state lontanamente spaventose come me le immaginavo.
La mia ansia aveva ancora una volta esacerbato le mie paura, mi aveva bloccata nel fare l’unica cosa che ho sempre sentito mia: scoprire, vedere, viaggiare, imparare. Mi ha bloccata nella mia testa, in un corpo incapace di salire da solo sull’autobus o parlare con uno sconosciuto, in un letto che pian piano avrebbe preso la forma della mia immobilità, in una stanza impregnata di tristezza e nostalgia.
La mia vita stava scorrendo e io ero ancora bloccata al via in un gioco che non mi interessava vincere.
Vivere con l’ansia ha plasmato la mia vita sin da quando ho cominciato ad avere paura di ciò che mi circondava in maniera immotivata, da quando mi addormentavo cullata dal battere convulso del cuore, il sudore che mi colava dalla fronte e le lacrime di frustrazione imprigionate negli occhi. Mi ha plasmata e mi ha impedito di essere me stessa. Eppure non sarei chi sono senza questo demone nascosto nel mio cervello, senza la sua sorella depressione pronta a strisciare in ogni momento a prendersi quello che sto combattendo con tutta me stessa: l’arresa.
Se l’ansia è la paura, la depressione è l’arresa.
Quando l’ansia diventa insopportabile, quando la paura non mi fa respirare, lo stomaco non accetta più nutrimento, i muscoli si irrigidiscono per la tensione, ecco che arriva lei, Nostra Signora dell’Oblio, dell’Eterno Risposo, colei che mi rende apatica, che mi chiude gli occhi, che mi fa dimenticare di mangiare, di lavarmi, di vivere. Colei che mi fa dormire in un riposo malvagio, in un regno inospitale, regina incontrastata di una favola senza morale.
Eppure se questa storia ha avuto un lieto fine, se sono riuscita in qualche modo a domare questa maledizione donatami da un fata cattiva non invitata alla mia nascita, ecco che è stata la consapevolezza, la consapevolezza che da tutto questo dolore c’era qualcosa da imparare, forse c’era addirittura qualcosa di buono, qualcosa che poteva tirarmi fuori dalla stasi, che poteva emanciparmi.
Perché se c’è una cosa che ho imparare in 30 anni di convivenza con l’ansia è che non esiste guarigione. Esiste la tregua, ma ciò che è parte di noi è lì per un motivo ed estirparlo non porterebbe a nulla se non all’annichilamento di ciò che siamo.
Vogliamo davvero rinunciare a ciò che siamo diventati dopo tanta sofferenza? Dopo tutta questa lotta?
Non so esattamente quando è stato, quando ho cominciato a capire che avrei potuto costruire la vita che volevo, senza piani, senza certezze né rassicurazioni, ma semplicemente provandoci.
Non so quando è stato, ma è successo. Non ho finito di imparare, né di sbagliare, di soffrire, di crescere. Mi sento un’adolescente alla scoperta di se stessa e un’anima anziana che fa quel cazzo che le pare. Sento convivere in me desideri e paure nuove che un tempo mi avrebbero annientata.
Ed ecco che, nonostante l’ansia e la depressione e il bisogno e la paura e l’inadeguatezza, ecco che ho voglia di respirare l’aria che investe il Mar Baltico, scalare il Kilimangiaro, camminare fino a Santiago de Compostela, attraversare i fiordi islandesi, affrontare le altitudini dell’Himalaya, masticare foglie di coca camminando verso Machu Pichu. Ho voglia di guidare al contrario lungo le strade neozelandesi, maledire l’umidità del Guangdong e il freddo di Pechino a dicembre.
Voglio assaggiare il latte di yak in una yurta, mangiare il khachapuri georgiano, sorseggiare vodka come fosse acqua e attraversare la Russia a bordo della Transiberiana. Voglio attraversare la savana, ammirando i leoni sonnecchiare al sole in libertà, accarezzare i lama in Perù e vedere i panda nel Sichuan. Voglio rivedere le highlands scozzesi, passeggiare tra i paesini del Portogallo nella calura estiva, fare il bagno tra le onde dell’oceano e prendere il sole all’ombra delle palme. Voglio il traffico di Hanoi, aspettare i mezzi con uno zaino appoggiato alle ginocchia, dormire in aereo, vagare per gli aeroporti, tornare a casa stanca, ma felice, con gli occhi pieni, e il cuore pieno e tutta la vita piena.
SMM and Content Creator, part-time mermaid, hopeless writer
Lover of whales, anatomical hearts and Sylvia Plath
Based in Italy
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